lunedì 7 novembre 2016

Panino al prosciutto

Il modo migliore per conoscere uno scrittore è attraverso i suoi libri.

" La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità. "
Chi era davvero Bukowski? Un maledetto. Un bastardo. Uno sporcaccione, ubriacone e puttaniere.
" Se succede qualcosa di brutto / si beve per dimenticare;
se succede qualcosa di bello / si beve per festeggiare;
e se non succede niente / si beve per far succedere qualcosa. "
Trasgressivo al limite della pornografia. Ci provava con tutte quelle che gli capitano a tiro e diventava un avventuriero seriale. In fondo, però, era un duro dal cuore tenero: per quanto potesse manifestare un approccio spregiudicato, si innamorava e soffriva come tutti gli uomini. Sentimentale, a modo suo.
"Su questa terra / alcuni di noi scopano più di quanto / si muoia / ma i più di noi muoiono / meglio di quanto si scopi,
e moriamo a pezzo a pezzo anche – / nei parchi / mangiando gelato, o / in igloo / di demenza, / o su pagliericci / o sopra amori / sbarcati / o / o."
Un fascista? Quando lo intervistò l’americanista Fernanda Pivano, lui spiegò come tra i suoi lettori ci fossero molti fascisti. Lei inorridì e lo esortò a smentirsi, a prendere le distanze. Bukowski quasi si irritò cercando di spiegarle che anche gli scrittori che ha amato di più, Luois Ferdinand Céline, Knut Hamsun ed Ezra Pound, avevano la vocazione ad andare nella direzione opposta a quella della massa. Bukowski apprezzava gli scrittori che avevano avuto il coraggio di mettersi controcorrente, pagando il più delle volte un prezzo altissimo senza mai rinunciare alla loro dignità. Amava prendere in giro i conformisti e radical chic. Viveva di scrittura e scriveva vivendo. Era autoironico. Diceva "Gli scrittori sono dei poveri idioti. È per questo che scrivono". Era un timido dalla scorza dura, chiuso nel suo guscio. Indossava una maschera per difendersi dagli altri, da coloro che capitavano a casa sua nel cuore della notte e pretendevano di ubriacarsi insieme a lui, proprio come nei suoi libri. Quando scriveva però la sua maschera cadeva. Aveva più familiarità con scrittori dichiaratamente di destra che con i colleghi della Beat generation. E' lo stesso Lawrence Ferlinghetti a pubblicare per la prima volta le Storie di ordinaria follia e a ospitarlo a San Francisco nel famoso reading del 1972. Se Bukowski avesse voluto cavalcare quest'onda, probabilmente sarebbe diventato famoso molto prima e si sarebbe affermato negli Stati Uniti senza essere costretto a una gavetta interminabile. Ma lui, piuttosto che coltivare i rapporti con i ben più celebri colleghi, non rinunciava alla tentazione di irriderli per l'omosessualità di alcuni di loro e di criticarli per scelte politiche che non condivideva affatto.
" Tutti dobbiamo morire, tutti quanti, che circo! Non fosse che per questo dovremmo amarci tutti quanti e invece no, siamo schiacciati dalle banalità, siamo divorati dal nulla. " 
Era un solitario, uno che non voleva far parte di alcun tipo di gruppo o di chiesa. Rideva degli scrittori che partecipavano alle feste del partito comunista e non aveva alcuna considerazione per i sessantottini. In tanti racconti e poesie prendeva in giro le cosiddette “anime belle”. Alle protest songs di Bob Dylan e Joan Baez preferiva la musica classica.  Detestava il buonismo e ogni forma di mobilitazione democratica, le associazioni benefiche e tutti quelli che si mettono a capo delle proteste con la pretesa di cambiare il mondo. A lui di cambiare il mondo non fregava assolutamente nulla. Lui voleva cambiare solo il suo mondo, tanto che quando riuscì ad affermarsi, prima in Europa e molto più tardi nel nuovo continente, non ebbe grandi scrupoli nell’adattarsi a una vita di normalità, anzi per lui diventò quasi una conquista. Il successo per lui era solamente il participio passato del verbo succedere.
" Vivi in una città tutta la vita, e arrivi a conoscere ogni puttana all'angolo e metà di loro le hai già scopate. Hai il menabò, la struttura, dell'intera zona. Hai una foto di dove sei... Essendo cresciuto a Los Angeles, ho sempre avuto il sentimento geografico e spirituale di essere qui. Ho avuto il tempo di conoscere questa città. Non vedo altro posto che L.A. "
Faceva a pugni nei vicoli con il barista Thomas McGilligan a Philadelphia nel 1946. È quello descritto nelle interviste di Vinicio Capossela registrate in un pub con le luci basse. È il Bukowsky di un pub di Milano gestito da gente che in lui vedeva un vero personaggio di culto pur sbagliando qualcosa nel nome sull’insegna.
“Tutti dicono che sono un bastardo."
È lui stesso che ha fatto di tutto per alimentare la fama del bastardo: una maschera che aveva indossato fin da ragazzino per meri motivi di sopravvivenza. Una maschera che gli è rimasta incollata fino a diventare una seconda pelle, una maschera che può mordere o sorridere.
E.R.

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